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NEWSLETTER N°15 Il condominio, la struttura e le parti comuni

[06-04-2011]

NEWSLETTER N°15   Il condominio, la struttura e le parti comuni

 

Una guida per capire e individuare le parti comuni di un condominio

 

Il Vocabolario Garzanti definisce il termine condominio:

 

(pl. -ìni), s. m., diritto di proprietà, spec. di uno stabile, comune a più persone: palazzo in condominio (o anche semplicemente condominio), lo stabile soggetto a questo genere di proprietà; riunione di condominio, riunione dei condomini per controllare lo stato e l'amministrazione dei servizi comuni condominio internazionale, sovranità di più Stati sopra un territorio; il territorio stesso.

 

La giurisprudenza e la dottrina intervengono per evidenziare come il condominio implichi, per la sua stessa esistenza, la coesistenza della proprietà esclusiva di porzioni distinte di un medesimo fabbricato con la comunione indivisa di altre parti ben determinate dettate evidentemente da precise necessità costruttive o da esigenze semplicemente pratiche e gestionali.

 

A differenza della comunione con il condominio lo stato di comunione è di regola continuo, permanente e addirittura forzato.[1]

 

Ciò detto si può esprimere che nel condominio le cose comuni, anziché formare l’oggetto del diritto di godimento stesso  sono invece destinate al servizio dei singoli appartamenti.

 

Secondo un orientamento consolidato della giurisprudenza il contenuto codicistico che disciplina il condominio risulta applicabile solo alle case divise in piani orizzontali e non trova invece applicazione nelle case divise verticalmente.

 

In ragione di più sentenze della Cassazione la comunione anche del suolo postula che su uno stesso suolo insistano diversi piani o porzioni di piani costituenti un unico fabbricato. Nel caso in cui esistano più costruzioni tra loro separate ancorché sviluppate su suolo originariamente appartenuto ad un unico soggetto (ad esempio costruttore) le medesime non rientrano nella previsione e nella presunzione di comunione.

 

In altre parole nel caso di edifici a schiera separati fra loro da un solo muro verticale dalle fondamenta al tetto si profila una situazione riconducibile al condominio solo nel caso in cui le medesime strutture godino di strutture o servizi comuni quali ad esempio la portineria, l’impianto di condizionamento o di riscaldamento, l’area esterna adibita a piscina o parco giochi ecc…

 

Secondo la sentenza della Cassazione in data 6 aprile 1966 n° 918 (sentenza quadro successivamente consolidatasi con giudizi in medesima direzione) si rientra nella nozione di condominio anche nel caso di trasferimento o di riserva del diritto di sopraelevazione da parte dell’unico proprietario originario.

 

Il condominio viene ad esistere quando si verifica il trasferimento di singole porzioni di proprietà ad una pluralità di soggetti. In pratica allorquando si verifica il passaggio da una situazione di dominio singolo ad una situazione di dominio plurimo.

 

L’eventuale verbale dell’Assemblea ancorché successivo ai diversi atti traslativi possiede effetto dichiarativo della costituzione avvenuta.

 

In ragione di un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale per la costituzione di un condominio è sufficiente la traslazione del diritto di proprietà con scrittura privata e non necessariamente con atto pubblico.

 

Per la costituzione di un condominio è quindi sufficiente il semplice frazionamento della proprietà. Quest’ultimo trova esistenza anche in assenza di mancata rifinitura del palazzo o di assenza delle dovute autorizzazioni abitative.

 

In questa direzione, il condominio esiste anche in assenza di amministratore pro tempore, regolamento condominiale, tabelle millesimali o di verbali costitutivi. Tali procedure si configurano quindi solo come atti o strumenti meramente gestionali.

 

Secondo l’orientamento prevalente in dottrina [2] il condominio si configura come una comproprietà la cui specificità non è conferita dall’oggetto, configurato dalle parti comuni, ma dalla relazione strumentale esistente tra le cose (gli impianti e gli spazi di servizio comune) che del condominio formano l’oggetto e le porzioni di fabbricato di proprietà esclusiva.

 

Più volte la Cassazione è intervenuta per precisare anche la definizione di supercondominio. Secondo quanto sentenziato per supercondominio si deve intendere più edifici contigui (che formano altrettanti singoli condomini) che condividono servizi o beni destinati a tutti e quindi di proprietà comune (impianto di riscaldamento, portineria ecc…)

 

Secondo l’orientamento prevalente al supercondominio si applicano le norme e gli articoli codicistici attinenti il condominio (per contrario non trovano applicazione i principi della comunione)

 

Il Codice Civile tratta l’argomento condominio dando inizialmente la definizione del medesimo, mediante l’analisi delle Parti comuni dell'edificio (art. 1117), quelle che sono proprietà comune dei proprietari dei diversi piani porzioni di piani di un edificio.

 

In particolare sono considerate parti condominiali:

 

  • il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti e i lastrici solari;

 

  • le scale, i portoni d'ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e in genere tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune;

 

  • i locali per la portineria e per l'alloggio del portiere, per la lavanderia, per il riscaldamento centrale, per gli stenditoi e per altri simili servizi in comune;

 

  • le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono all'uso e al godimento comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli acquedotti e inoltre le fognature e i canali di scarico;

 

  • gli impianti per l'acqua, per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento e simili fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini.

 

Nel primo gruppo sono quindi ricomprese le parti essenziali del fabbricato, le parti costruttive non suscettibili di divisione o separazione.

 

Il gruppo di opere attinenti i locali per la portineria e per l'alloggio del portiere, per la lavanderia, per gli stenditoi e per altri simili servizi in comune sono invece suscettibili di separazione o di utilizzo individuale. Le medesime opere possono quindi assumere nel tempo destinazioni diverse rispetto a quella originaria.

 

Infine, le opere impiantistiche, di regola non sono suscettibili di uso esclusivo anche se, almeno tecnicamente, l’uso può essere riservato solo ad un gruppo di persone.

 

In merito ai muri perimetrali dell’edificio, alla luce delle moderne tecniche costruttive (ossatura in cemento armato e tamponamento in laterizio), occorre distinguere tra i muri perimetrali dell’edificio (tamponamento esterno) finalizzati a proteggere l’intero stabile costruito dai muri (tramezze non portanti) interni realizzati al solo fine della divisione proprietaria.

 

Per quanto detto, nelle costruzioni moderne, per muro maestro ai sensi dell’articolo 1117 del codice civile si deve intendere solo l’intelaiatura orizzontale e verticale del fabbricato (pilastri e travi) unitamente al tamponamento esterno (comunque realizzato) delimitante la volumetria complessiva dell’intero edificio.

 

Costituendo l’ossatura complessiva dell’edificio devono essere considerati muri maestri anche quelli affaccianti o delimitanti i cortili o i chiostri interni dei palazzi anche se utilizzati solo da una parte di condomini.

 

Al contrario di quanto sopra non possono essere considerate come parti condominiali le tramezze interne all’edificio prive di qualsiasi ruolo portante. Queste ultime appartengono al proprietario dell’appartamento (se poste all’interno di esso) o ai due condomini che condividono la medesima tramezza.

 

Naturalmente devono considerarsi come bene comune anche i fregi, i timpani e i rilievi posti a decoro dei singoli muri maestri.

 

Di regola per fondazioni si intende non solo la parte di muro maestro che prosegue e si allarga nel sottosuolo ma in modo più ampio rientrano nelle fondazioni e quindi nella cosa comune anche tutte quelle opere realizzate a sostegno o a completamento dell’edificio, ovvero, tutte le opere di consolidamento e di sostegno del terreno circostante e ancora tutte le opere di scavo e di reinterro.

 

Infatti secondo l’orientamento prevalente in giurisprudenza l’elenco di cui all’articolo 1117 del codice civile non può essere e non deve essere inteso come elenco tassativo. La cosa comune si estende quindi a tutto ciò che è necessario per l’esistenza, la stabilità, la sicurezza e l’igiene del fabbricato.

 

Premesso che l’articolo 840 del codice civile stabilisce che tutto ciò che è ubicato sotto il suolo segue il regime giuridico del suolo stesso, si può affermare che la natura condominiale si estende anche a tutto il sottosuolo posto in corrispondenza del fabbricato.

 

Da quanto sopra ne consegue che l’attribuzione ad uno dei condomini di una parte dell’edificio posta nel sottosuolo non comporta necessariamente l’attribuzione allo stesso della proprietà dl suolo su cui sorge l’edificio e la conseguente esclusione di questo dall’elenco delle cose comuni.[3]

 

Il lastrico solare, altrimenti definito copertura piana praticabile, si identifica nella parte terminale di un fabbricato. Tale superficie ritenuta tecnicamente praticabile può risultare accessibile mediante passo condominiale o mediante uso esclusivo riservato a singola proprietà privata.

 

La funzione accessoria del lastrico solare quale terrazzo ad uso esclusivo non diminuisce la destinazione primaria all’uso comune della medesima copertura e quindi in mancanza di preciso  titolo giuridico non viene meno la presunzione di comunione del medesimo terrazzo.

 

Al lastrico solare vengono di norma equiparate tutte le terrazze di copertura di regola, in assenza di titoli specifici si ritengono di proprietà comune. In tutti questi casi rimane evidente la finalità di specifica protezione del fabbricato svolta dalla terrazza medesima.

 

Spesso accade di confondere il lastrico solare con la cosiddetta terrazza a livello.

Anche se gran parte della disciplina rimane sostanzialmente comune, notevoli permangono le differenze, in particolare per quanto riguarda l'assetto proprietario.

 

L'art. 1126 cod.civ., con riferimento al lastrico solare di uso o di proprietà esclusiva, individua la misura del contributo, per le spese di riparazione e ricostruzione, dovuta dall'utente o proprietario esclusivo e dagli altri condomini indicati dalla norma, sulla base del rapporto (un terzo e due terzi) fra l'utilitas connessa all'uso o alla proprietà esclusiva del lastrico solare, e l'utilitas, ritenuta dalla norma prevalente, connessa alla funzione di copertura dell'edificio condominiale, funzione alla quale il lastrico solare principalmente adempie a vantaggio di tutti i condomini.

 

Sono a completo carico dell'utente o proprietario esclusivo del lastrico solare le spese attinenti a quelle parti del lastrico solare, del tutto avulse dalla funzione di copertura (ad. le spese attinenti ai parapetti, alle ringhiere ecc., collegate alla sicurezza del calpestio); mentre tutte le altre spese, siano esse di natura ordinaria o straordinaria, purché attinenti alle parti del lastrico solare svolgenti, comunque, funzione di copertura, vanno sempre suddivise fra l'utente o proprietario esclusivo del lastrico solare ed i condomini proprietari degli appartamenti sottostanti il lastrico secondo la proporzione indicata nell'art. 1126 c.civ.

 

Mentre il lastrico solare assolve essenzialmente la funzione di copertura dell'edificio, di cui forma parte integrante, la terrazza a livello è invece costituita da una superficie scoperta posta al sommo di alcuni vani ( e quindi non di tutto il condominio) e nel contempo sullo stesso piano di altri, dei quali forma parte integrante strutturalmente e funzionalmente, nel senso che per il modo in cui è realizzata, risulta destinata non tanto a coprire le verticali di edifici sottostanti, quanto è soprattutto a dare un affaccio e ulteriori comodità all'appartamento cui è collegata e del quale costituisce una proiezione verso l'esterno.

 

Quando ricorre tale situazione la funzione della terrazza, quale accessorio rispetto all’appartamento posto allo stesso livello prevale su quella di copertura dell’appartamento sottostante e se dagli atti esistenti non risulta il contrario, la terrazza deve intendersi di proprietà dell’appartamento aggettante (alloggio direttamente comunicante).

 

Salvo diversamente indicato in singoli titoli attestanti la proprietà individuale la scala dell’edificio deve essere considerata come bene comune indivisibile. Rientra in tale definizione anche la proiezione sul piano della medesima scala.

 

Secondo il più comune orientamento della Cassazione risulta proprietario dell’androne e della scala anche il singolo condomino ubicato al piano terreno e altresì proprietario di ingresso indipendente. In questo specifico caso primeggia infatti la generale utilità per l’intero condominio derivante dall’esistenza stessa delle scale.

 

Per portone si deve intendere il varco che mette in comunicazione la strada o il contesto esterno al fabbricato con l’interno dell’edificio medesimo. Per definizione si intende vestibolo lo spazio immediatamente retrostante il portone.

 

I balconi pur collegati alla facciata dell’edificio, non possedendo particolari funzioni statiche o portanti, non costituiscono parte comune dell’edificio.

 

Medesima valutazione riguarda tutte le aperture e gli affacci ad uso esclusivo.

 

Tutte le parti di terreno circostanti o incluse all’interno dell’edificio lasciate appositamente libere per assicurare aria e soprattutto luce al condominio stesso si configurano come cortili.

 

I cortili divengono cosa comune in ragione della già richiamata presunzione di comunione. Quest’ultima trova fondamento nell’obiettiva destinazione del bene posto a servizio e utilità dell’intero condominio.

 

Come già accennato per cortile non deve intendersi soltanto lo spazio “chiuso” all’interno del condominio ma anche lo spazio antistante o retrostante il fabbricato medesimo intendendosi per questi ultimi spazi anche le aree verdi e i parcheggi asserviti al condominio.[4]

 

Per gli spazi o le costruzioni esterne all’edificio occorre verificare, con riferimento alla data di costruzione del fabbricato, l’effettiva volontà delle parti ed in particolare occorre, indipendentemente dall’uso attuale, verificare se esiste una primitiva ed inequivocabile decisione di definire come cosa comune il medesimo spazio o fabbricato

 

Trova analoga applicazione normativa anche per i cavedi, i pozzi di luce, i chiostri o le vanelle.

 

 

 

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[1] Corte di Cassazione sez. I 16 luglio 1962, n° 1887

[2] per tutti R.Corona Proprietà e maggioranza nel condominio negli edifici, Giappichelli, Torino

 

[3] Cassazione civ. 27 maggio 1987 n. 11138

 

[4] Cassazione civ.  9 giugno 2000 n. 7889

 

 
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