NEWSLETTER N°56 LA DETERMINAZIONE DELL'INDENNITÀ IN CASO DI ESPROPRIO DI UN'AREA NON EDIFICABILE
[27-05-2014]
NEWSLETTER N°56 LA DETERMINAZIONE DELL'INDENNITÀ IN CASO DI ESPROPRIO DI UN'AREA NON EDIFICABILE.
Il criterio del valore agricolo effettivo.
Con la Sentenza 7 giugno 2011 n.181, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del criterio di calcolo delle indennità di esproprio delle aree non edificabili.
Criterio contenuto nell’art. 5-bis, comma 4, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 e nell’art. 16, commi 5 e 6 della legge 865/1971 ed oggi confluito nell`art. 40, commi 1 e 2 Dpr 327/2001 (Testo Unico Espropri).
Come espresso dalla Corte, le norme risultano in contrasto con l’art.117 comma 1 Cost. e in via indiretta con l’art. 1 del CEDU, il primo Protocollo della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Il caso esaminato dalla Consulta si riferisce all’espropriazione di terreno non edificabile.
Prima di considerare le caratteristiche dell’area, la Corte riprende l’art. 42 della Cost. e una precedente pronuncia della stessa (sent. 348/2007) sottolineando la necessità del “serio ristoro”.
L’art. 42 al comma 3 recita: “La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale”. La sentenza 348/07, ripresa dalla Corte, dichiarava l’illegittimità del sistema utilizzato per calcolare l’indennità delle aree edificabili.
Già allora, la Consulta specificava la definizione di indennizzo in caso di esproprio: deve rappresentare un serio ristoro.
Prendendo come fondamento la precedente sentenza, la Consulta si riporta sul caso in esame riferito ad aree agricola: “Si deve rilevare, a questo punto, che le suddette statuizioni riguardano suoli edificabili. Ciò non significa, tuttavia, che esse non siano applicabili anche ai suoli agricoli ed a quelli non suscettibili di classificazione edificatoria”.
“Come la sentenza n. 348 del 2007 ha posto in luce, «sia la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana sia quella della Corte europea concordano nel ritenere che il punto di riferimento per determinare l’indennità di espropriazione deve essere il valore di mercato (o venale) del bene ablato».
E tale punto di riferimento non può variare secondo la natura del bene, perché in tal modo verrebbe meno l’ancoraggio al dato della realtà postulato come necessario per pervenire alla determinazione di una giusta indennità”.
“Con ciò non si vuol negare che le aree edificabili e quelle agricole o non edificabili abbiano carattere non omogeneo. Si vuole dire che, pure in presenza di tale carattere, anche per i suoli agricoli o non edificabili sussiste l’esigenza che l’indennità si ponga «in rapporto ragionevole con il valore del bene»”.
In ragione di quanto sentenziato dalla Suprema Corte il punto di riferimento per determinare l’indennità di espropriazione deve essere il valore di mercato (o venale) del bene ablato».
Se da una parte occorre segnalare che una limitata capacità edificatoria, generalmente riconosciuta ai fini agricoli, non è idonea a trasformare il suolo da agricolo in edificabile è altrettanto importante segnalare che la medesima potenzialità deve invece essere valutata ai fini della determinazione dell’indennità definitiva.
Come giustamente segnalato dal Prof. Paolo Pirruccio nella sua più nota pubblicazione “L’espropriazione per pubblica utilità” – pagg.997 -Edizioni CEDAM, il valore agricolo effettivo, pur essendo un valore venale (o di mercato), tiene conto solo del prezzo che un ipotetico acquirente medio sarebbe disposto a pagare al fine di trarre utilità mediante una utilizzazione esclusivamente agricola di quel fondo.
In tutti questi casi, ai soli fini estimativi, si può quindi correttamente parlare di:
VALORE VENALE AGRICOLO
intendendo, con tale definizione, la ricerca di un valore appartenente ad un terreno agricolo caratterizzato anche da precipue possibilità edificatorie che benché correlate al solo uso agricolo, contribuiscono a diversificare profondamente il valore in oggetto da quanto evidenziato dai VAM.
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